L’incidente alpino sul Monte Disgrazia, Lombardia, avrebbe potuto avere un bilancio meno pesante; Giuseppe Gritti, una delle vittime, era ancora vivo nel momento in cui i soccorritori sono riusciti a raggiungere il gruppo di scalatori. L’uomo ha cercato inutilmente di chiedere aiuto prima che l’avvenimento venisse segnalato.
Giuseppe Gritti era il capo cordata di un quel gruppo di alpinisti che la scorsa domenica è rimasto ucciso durante un’escursione sul Monte Disgrazia. I primi soccorritori, dei turisti, lo hanno trovato a testa in giù schiacciato dal peso dei compagni d’avventura, morti sul colpo al momento dell’impatto con le rocce.
Con le ultime energie che gli rimanevano in corpo, l’uomo ha dichiarato ai due turisti accorsi in suo aiuto che la morte dei compagni e, probabilmente aveva già capito, anche la sua, erano frutto di una disattenzione. Sarebbe stato proprio Giuseppe Gritti a scivolare e trascinarsi dietro gli altri alpinisti.
All’arrivo dei turisti il capo cordata è l’unico vivo del gruppo. Non ha quasi più i vestiti, si è rotto una gamba, è sporco del sangue dei compagni, ma conserva ancora una certa lucidità e chiede aiuto. I suoi soccorritori erano stati attirati sul luogo dell’incidente proprio dai lamenti di Giuseppe.
Nonostante lo abbiano aiutato come meglio potevano, l’uomo non è sopravvissuto. Questo forse perché per chiamare i soccorritori, quelli veri, è stato necessario che i due turisti si spostassero in direzione del primo rifugio utile. Tornati sul posto hanno trovato Giuseppe ormai morto.
Molto probabilmente, almeno lui, avrebbe potuto salvarsi. Dato che Giuseppe Gritti ha ammesso di aver causato involontariamente l’incidente, sui corpi delle vittime non saranno eseguiti né esami generici né autopsie. Gli alpinisti morti sul Monte Disgrazia erano tutti esperti.