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Corto circuito – Recensione

Corto circuito – Recensione

Nel dicembre del 1986 (maggio negli Stati Uniti) usciva nelle sale cinematografiche italiane il film Corto circuito, con Steve Guttenberg e Ally Sheedy, diretto da John Badham.

In un’azienda che produce robot un prototipo riceve un corto circuito. All’improvviso scappa dalla fabbrica e si dirige in strada da solo. Arriva in casa di una giovane donna, che decide di nasconderlo alle autorità che lo cercano. Un giovane scienziato che lavorava nell’azienda di produzione di robot da cui è scappato il prototipo ritrova il robot fuggitivo. La giovane donna e lo scienziato scoprono però che non si tratta di un corto circuito: il robot è “vivo”, cioè prova sentimenti umani e funziona senza batterie nè corrente elettrica. Sarà una scoperta che rivoluzionerà la scienza così come la conosciamo noi oggi.

Il film è diretto da John  Badham e prodotto dalla Tristar Pictures. Gli attori presenti nel film sono Steve Guttenberg (il famoso sergente Mahoney della Scuola di polizia, 1984-85-86-87-88-90) e Ally Sheedy, già vista in famosi film degli anni ’80 come The breakfast club (1985).

Il tema del film è molto particolare: un robot va in corto circuito e all’improvviso scopre di essere “vivo”, cioè di provare sentimenti e sensazioni umane. Il film ci racconta una storia che parla del fatto che anche un pezzo di latta come Numero 5 (il robot in questione) può provare sentimenti umani. Forse le sensazioni umane, come l’amore, l’odio, la felicità ecc., non sono solo umane, ma anche gli oggetti possono acquisire la capacità di provarle. Tutti noi, per quanto strani possiamo apparire, siamo sempre umani e dunque in grado di provare sensazioni collegate a questa nostra natura.

Il film è stato girato tra la California e il Michigan, a Detroit e a Santa Clara. Ottime le riprese esterne e gli effetti speciali visivi e sonori. Un film di fantascienza che forse tanto fantasioso non è.

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