L’Italia non è un paese per giovani. Né per studenti. Tantomeno stranieri. Ma resta nel complesso un buon posto dove studiare e formarsi.
Stando ai dati UNESCO, il Bel Paese è 10° al mondo per numero di studenti stranieri iscritti nelle università.
I dati di statistica dell’Unesco sono del 2012, ultimo anno di rilevazione, ma rivelano che l’Italia è la decima destinazione mondiale per studiare all’estero: la nostra penisola si assicura il 2% di quei quattro milioni di studenti che frequentano università e corsi postuniversitari all’estero.
La lista delle preferenze dei posti in cui studiare, laurearsi e magari rimanere per lavoro o perfezionamento post-universitario, è la seguente: al primo posto gli Stati Uniti (18%, un esercito di 784.427 persone), Gran Bretagna (11%, 416.693), Australia (7%, 249.868), Francia (6%, 239.344) e Germania (5%, 196.619). Seguono la Federazione Russa e il Giappone (4%), il Canada (3%) e appunto Cina e Italia col 2%.
Il fenomeno è in crescita a livello internazionale: 15 anni fa gli studenti stranieri erano 2 milioni. Segno dell’esistenza di politiche e progetti che favoriscono la circolazione dei giovani nei paesi sia dell’Unione Europea (vedasi tutta la piattaforma Erasmus) sia del mondo intero.
Alcuni scambi universitari, per esempio quelli con la Cina, sono d’altra parte figli di partnership commerciali tra la realtà industriale italiana e quella molto innovativa del Paese della Grande Muraglia.
Il dato complessivo resta comunque importante, e testimonia che, nonostante tutte le difficoltà economiche attraversate dal nostro Paese, l’Italia resta ancora un polo culturale ritenuto interessante in giro per il mondo.
Variegata la provenienza degli studenti stranieri nelle nostre università: nel dettaglio, l’Italia ospita 77.732 giovani. La maggior parte arriva, oltre che dalla Cina, dall’Albania (12.045), la Romania (5.713), la Grecia (3.318). Seguono l’Iran (2.975), il Cameroon (2.652), il Perù (1.963), la Moldavia (1.815), a seguire Ucraina, Marocco, Federazione Russa, Israele, Germania e Polonia.
Gran parte di questa “emigrazione universitaria” viene però da paesi disagiati dell’area europea, tendenzialmente imparentati col nostro Paese grazie a fenomeni di immigrazione attivatisi negli anni Ottanta-Novanta e ancora in atto nei nostri giorni.