Per protestare contro la riforma della scuola, i sindacati della scuola confermano lo sciopero della prima ora di servizio per tutti gli scrutini in ciascuna delle prime due giornate di svolgimento delle operazioni.
I sindacati, fanno sapere in un comunicato congiunto, affermano che il ddl scuola «lascia irrisolte molte delle sue più evidenti criticità e non dà risposta alle richieste che stanno alla base di una mobilitazione condivisa e partecipata dall’intero mondo della scuola»
Dal canto suo il premier Matteo Renzi si ritiene soddisfatto, pur non chiudendo a possibili ritocchi: «finalmente qualcosa si è messo in moto», ha detto ieri a margine della riunione di segretaria del PD commentando la riforma della scuola approvata ieri alla Camera.
Ora il testo passa al Senato per l’approvazione definitiva. Se Palazzo Madama confermerà il testo fin qui elaborato, a settembre saranno parecchie le novità che docenti e studenti si troveranno tornando in classe per la prima campanella dell’anno scolastico.
In particolare: presidi che potranno scegliere la propria squadra di prof, materie potenziate (Arte, Musica, Diritto, Economia, Discipline motorie), discipline opzionali (curriculum flessibile), possibilità per gli studenti (liceali inclusi) di fare esperienze di lavoro in azienda, in enti pubblici, musei, ma anche all’estero e – per la gioia del ministro Poletti – d’estate.
Resta ancora in piedi il drammatico problema dell’edilizia scolastica, un altro punto interrogativo che grava sulla riforma-scuola, così come la questione superpresidi-precariato-tutele contrattuali. Alcuni deputati di Area Riformista hanno chiesto ai senatori PD un maggior impegno in Senato per portare a ulteriori e necessari cambiamenti.
I punti critici che restano come nodi sul pettine sono: la permanenza della chiamata diretta da parte del preside in una logica monocratica, la discriminazione che colpisce gli insegnanti abilitati di seconda fascia e tutti gli altri precari (TFA e PAS, per intenderci).
Si annuncia ancora battaglia dura, su una riforma che potrebbe di nuovo spaccare il Paese.