Il delitto di via Poma, quello in cui perse la vita Simonetta Cesaroni, non sarebbe imputabile a Raniero Busco, principale sospettato dell’omicidio. Allo stato attuale delle indagini infatti non ci sarebbero prove in grado di testimoniare che l’uomo uccise la sua fidanzata di allora.
Era il 7 agosto del 1990 quando Simonetta si recò al lavoro per l’ultima volta, prima delle vacanze estive pensava lei, nella sua vita ha deciso il destino. Quel giorno, nelle prime ore del pomeriggio, qualcuno entrò in ufficio, in via Poma, e la accoltellò con particolare accanimento.
Simonetta aprì spontaneamente la porta dell’ufficio a quello che poi si rivelò il suo aggressore. Questo particolare, unito ad altri piccoli indizi, fece di Raniero Busco, allora fidanzato di Simonetta, l’indiziato principale. Dal 1990 ad oggi l’uomo è stato sottoposto a continui processi.
Tuttavia non è mai stato possibile trovare delle prove che ne evidenziassero la colpevolezza. Il calvario di Raniero Brusco, vittima di una continua altalena di sentenze contrastanti, sembrava essere finito nell’aprile del 2012 con il proscioglimento per ordine della Cassazione.
In realtà l’assoluzione definitiva dall’accusa di omicidio di Simonetta e la conseguente lettura delle motivazioni che hanno indotto i giudici a ritenere Busco innocente è arrivata soltanto oggi. Il delitto rimane senza una soluzione così come alcuni indizi non trovano spiegazione.
In particolare non sarebbe stato possibile attribuire a Raniero Busco le tracce genetiche rilevate sul seno di Simonetta insieme ai segni di un morso. In passato questa venne ritenuta la prova regina; chi avrebbe potuto accedere ad una parte del corpo tanto intima se non lui?
Inoltre, secondo la Cassazione, la precedente condanna inferta a Busco si basava su indizi congetturali e non dati certi; sarebbe perciò da ritenersi inattendibile. Resta ancora da spiegare il ruolo di Pietro Vanacore, suicida accusato di essere implicato nell’omicidio di Simonetta.