Tutte le donne che lavorano hanno, in caso di parto, il diritto al congedo maternità, un periodo della durata di cinque mesi di sospensione obbligatoria dal lavoro durante il quale l’Inps paga la retribuzione.
Il congedo maternità si articola nei due mesi precedenti alla presunta data del parto e nei tre mesi successivi. I due mesi iniziali possono essere integrati dai periodi di interdizione anticipata per quanto riguarda le mansioni incompatibili decisi dalla direzione territoriale del alvoro o dalla Asl. Se il parto è anticipato ai tre mesi successivi di congedo vanno aggiunti i giorni di differenza tra la data del parto e la data che si era presunta.
Esistono dei casi particolari che vengono differentemente regolati: in caso di gravidanza a rischio o di lavori per qualche ragione pericolosi per la futura mamma il periodo di congedo maternità può essere anticipato su decisione della Asl e delle Direzioni Territoriali del lavoro; dopo il parto, se non è possibile destinare la donna ad altre mansioni il congedo è prorogato fino a sette mesi.
L‘interruzione della gravidanza avvenuta dopo almeno 180 giorni dalla gestazione è, ai fini normativi, regolata come un parto: la donna può comunque decidere di rientrare in anticipo. Anche in caso di adozione o affidamento di minore vengono utilizzate le stesse regole.
Durante il congedo maternità la donna che ne usufruisce ha il diritto a percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione risultante dall’ultima busta paga. Nel caso di alcune categorie (indicate dal sito dell’Ente) l’indennità viene pagata direttamente dall’Inps. La libere professioniste e le lavoratrici autonome non hanno l’obbligo di astenersi dal lavoro, ma in caso di permanenza volontaria perdono il diritto all’indennità di maternità.